Firenze, uno scrigno di grandi opere d'arteFirenze, uno scrigno di grandi opere d’arte. Da non perdere per regalarsi grandi emozioni con le opere dei più grandi artisti. 

Firenze è lo scrigno d’arte per eccellenza, la città che si lascia ammaliare senza timidezza, la culla del Rinascimento che pervade in ogni dove, a cominciare dai suoi luoghi più iconici. Ma Firenze, oggi, aspetta i suoi ammiratori con alcune importanti iniziative da non lasciarsi sfuggire: salire sui ponteggi per ammirare gli affreschi della Cappella Brancacci, visitare la Galleria dell’Accademia con il nuovo allestimento, avvicinarsi alla Pietà Bandini di Michelangelo, appena restaurata e custodita nel Museo dell’Opera del Duomo.

Dal 4 febbraio ecco le visite speciali alla Cappella Brancacci, il piccolo museo civico contenuto nella Basilica di Santa Maria del Carmine: grazie alla presenza dei ponteggi installati per l’attività di diagnostica e di restauro, sarà possibile per i visitatori ammirare da vicino i preziosi affreschi di Masaccio, Masolino e Lippi.

I visitatori potranno scegliere se accedere direttamente, e senza spiegazione, al cantiere per vedere da vicino gli affreschi o avvalersi in aggiunta delle visite guidate introduttive che i mediatori culturali di MUS.E proporranno prima di accedere ai ponteggi.

I mediatori culturali di MUS.E introdurranno i visitatori che lo vorranno alla storia del convento carmelitano nel corso dei secoli.

Durante la visita il pubblico potrà approfondire il contesto storico e artistico entro cui gli affreschi della Cappella Brancacci – pietra miliare della storia dell’arte rinascimentale – si situano, anche grazie a una serie di apparati multimediali: la narrazione, affiancata da supporti visivi, permetterà così di apprezzare la storia del complesso e di conoscere meglio la storia e l’iconografia del ciclo di affreschi.

I visitatori saranno poi accompagnati all’ingresso della Cappella per salire in autonomia sui ponteggi (per motivi di sicurezza non è possibile effettuare visite guidate e spiegazioni sui ponteggi) dove potranno osservare gli affreschi da vicino, analogamente a quando essi furono eseguiti dagli stessi pittori.

Altro appuntamento da non perdere è alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Dopo molti mesi di chiusura, necessari per svolgere i lavori per un nuovo impianto di climatizzazione e illuminazione,  il polo museale fiorentino è finalmente fruibile presentando le sale dedicate alla pittura del Duecento e del Trecento e la Sala del Colosso, con un nuovo allestimento completamente rinnovato.

“L’attività della Galleria dell’Accademia di Firenze è sempre in grande fermento – dichiara la direttrice Cecilie Hollberg– sia per quanto riguarda le collaborazioni con prestigiose istituzioni europee e internazionali sia per i grandi lavori di ristrutturazione, manutenzione, riallestimento, illuminazione e climatizzazione delle sale, che non si sono mai fermati nonostante le criticità del periodo pandemico e che hanno visto il museo impegnato in grandi cantieri di ristrutturazione.”

Nei prossimi giorni inoltre rientreranno nel museo dopo essere stati “prestati” all’estero due dipinti attribuiti a Sandro Botticelli appena in tempo per l’inaugurazione della Sala del Colosso che inaugurerà lunedì 7 febbraio. Si tratta della Madonna col Bambino Giovanni Battista e due angeli prestata al Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum di Innsbruck per la mostra dedicata alle Madonne di Botticelli terminata il 30 gennaio.

Datata 1468, è un’opera giovanile del pittore rinascimentale che, pur rimanendo legato allo stile dei maestri, quali Verrocchio e Filippo Lippi, mostra una volontà di emanciparsi dagli illustri modelli.
Torna in Galleria anche la Pala del Trebbio, esposta fino al 24 gennaio nella grande mostra dedicata dal Museo Jacquemart-André di Parigi alla bottega del Botticelli e che ha celebrato il genio dell’artista e l’attività del suo atelier.  
Il dipinto, così denominato perché proveniente dall’Oratorio del Castello mediceo del Trebbio, nella campagna a nord di Firenze, vede la Madonna col Bambino attorniata dai Santi più cari alla famiglia Medici: si riconoscono infatti San Lorenzo e i santi martiri Cosma e Damiano, tutti nomi ricorrenti nella nobile famiglia fiorentina.
Un prestito che si inserisce in un rapporto di collaborazione reciproca con altre istituzioni internazionali, sempre in linea con gli scambi internazionali voluti anche dal MiC – Ministero della Cultura e che vedrà, il prossimo 15 febbraio, il busto di Michelangelo, appartenente alla collezione del museo parigino, arrivare alla Galleria dell’Accademia di Firenze per la mostra che raccoglierà, per la prima volta, le nove effigi in bronzo attribuite a Daniele da Volterra che ritraggono Michelangelo Buonarroti.

E proprio di Michelangelo è la Pietà Bandini custodita nel Museo dell’Opera del Duomo. Fino al 30 marzo la si potrà ammirare da vicinissimo per comprendere il grande lavoro di restauro che è stato fatto.
Iniziato nel novembre 2019, interrotto più volte durante la pandemia da Covid 19, il restauro è stato un’occasione unica per comprendere la complessa storia dell’opera, le varie fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata.
Un intervento che restituisce al mondo la bellezza di uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo, liberato dai depositi superficiali che ne alteravano la leggibilità dell’eccezionale plasticità e la cromia.

Michelangelo abbandonò senza mai finirla la Pietà Bandini, la sua ultima scultura alta 2 metri e del peso di 2.700 kg a causa del marmo che era difettoso, pieno di microfratture, in particolare una sulla base.
Alla Pietà Michelangelo lavorò tra il 1547 e il 1555, ritraendosi nel volto di Nicodemo.
Si racconta che il grande artista, ormai anziano, scontento del risultato, abbia tentato in un momento di sconforto di distruggerla a martellate.
Il restauro non ne ha individuato traccia, a meno che Tiberio Calcagni, che intervenne sull’opera entro il 1565, non ne abbia cancellato i segni.   

Il restauro ha portato anche alla scoperta che l’enorme blocco di marmo su cui è scolpito uno dei capolavori più intensi e tormentati di Michelangelo proviene dalle cave medicee di Seravezza e non di Carrara come ritenuto fino ad oggi.    
Una scoperta significativa perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata, mai realizzata, della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per trasportarli al mare.
Come mai questo enorme blocco di marmo fosse nelle disponibilità di Michelangelo a Roma, quando scolpisce la Pietà, rimane però un mistero. Michelangelo non era soddisfatto della qualità di questi marmi perché presentavano venature impreviste e microfratture difficili da individuare dall’esterno.Firenze, uno scrigno di grandi opere d'arte

Il restauro ha confermato che effettivamente era difettoso come racconta anche il Vasari nelle ‘Vite’ descrivendolo duro, pieno d’impurezze e che ‘faceva fuoco’. Dal restauro sono emerse tante piccole inclusioni di pirite nel marmo che colpite con lo scalpello avrebbero certamente fatto scintille, ma soprattutto la presenza di numerose microfratture, in particolare una sulla base che appare sia davanti che dietro, e che fa ipotizzare che Michelangelo incontrandola mentre scolpiva il braccio sinistro di Cristo e quello della Vergine, sia stato costretto ad abbandonare l’opera per l’impossibilità di proseguire il lavoro.  
Il restauro è stato possibile grazie alla donazione della Fondazione Friends of Florence, affidato a Paola Rosa con la collaborazione di Emanuela Peiretti.

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