LOVE di Robert Indiana è l’opera più conosciuta dell’artista cult della POP ART americana, un’icona tanto famosa da eclissare lo stesso nome del suo creatore. Da semplice immagine con caratteri cubitali, per un biglietto di auguri natalizi commissionatagli dal MoMA di New York, è assurta a inno della pace per poi identificarsi con l’Hippie Generation di cui è diventata il marchio. Da stereotipo visivo, a patrimonio comune replicabile all’infinito, il passo è stato breve.
La mostra retrospettiva che abbraccia la vasta attività dell’artista statunitense a partire dalla fine degli anni Cinquanta fino alle opere più recenti, è allestita nel prestigioso Castello Visconteo di Locarno, sede ormai trentennale della Pinacoteca Comunale Casa Rusca.
Vi sono esposte sessanta opere, un panorama figurativo costituito da marchi, numeri e simboli cari alla società consumistica, resi con colori brillanti e accesi, senza sfumature. No figure umane, no paesaggi nei lavori che l’artista stesso definisce con tre parole: celebrativi, commemorativi e colorati. Motivi ispiratori, la banale quotidianità, i segnali stradali e l’onnipresente pubblicità. “Mi propongo di essere un pittore americano, non un internazionalista che parla un facile esperanto visivo: per quanto possibile cerco di essere uno yankee”. Tanto yankee da trasformare il suo nome Robert Clark in Robert Indiana, in omaggio al suo luogo d’origine.
“Sono un pittore americano di segni che tracciano la rotta. Vorrei essere sia un pittore per la gente, sia un pittore per i pittori”.
Negli anni ’60 è il momento in cui l’America ha bisogno di riconoscersi, ed ecco che appare Indiana, con le sue cadenze ritmiche, le parole laconiche e il suo uso analitico del linguaggio. Dietro alle sue opere ci sono dei perché, delle storie che, riconducibili spesso alla poesia americana, non sono facilmente penetrabili. Appaiono comunque un avvincente viaggio all’interno di un’identità nazionale tutta da esplorare, con curiosità. La sua nostalgia del “sogno americano” che aveva dato speranza a persone, come i suoi genitori, nate senza privilegi, si trasforma in critica. La parola EAT si associa spesso a DIE. Quella di Robert Indiana, quindi, non è piaggeria, anzi è proprio il grande amore per la sua terra che gliene fa notare i lati deboli. Il suo tentativo di analizzarli allo scopo di correggerli, gli attira inevitabilmente l’incomprensione della critica che non accetta la sua provocazione e per un certo periodo sembra dimenticarlo. In realtà il percorso che Indiana stesso definisce “cinico e caustico”, si sublima e diventa “elegiaco”, poesia pura, come quella di Gertrude Stein, scrittrice che tanto ammira.
Schivo, ironico, solitario, nel 1978 lascia New York per ritirarsi in un’isola al largo della costa del Maine che diventa il suo atelier, rifugio da tutto e da tutti, per gli ultimi 50 anni.
Nel 2013 il Whitney Museum of American Art gli dedica “Robert Indiana: Beyond LOVE”, la sua prima retrospettiva newyorchese, l’anno scorso è stato il Museo di Stato russo di San Pietroburgo a rendergli omaggio, ora è la volta della mostra a Locarno, coinvolgente. Da non perdere.
www.museocasarusca – www.locarno.ch
Testo e foto di Maria Luisa Bonivento