Un viaggio in Birmania, una delle nazioni più estese (grande oltre due volte l’Italia), intatte e sconosciute del Sud-Est asiatico, come pure la meno occidentalizzata in quanto solo di recente ha aperto le sue frontiere al turismo, finisce per trasformarsi essenzialmente in un itinerario tra le centinaia di migliaia di pagode, stupa, templi e monasteri di ogni epoca e dimensione, disseminati in ogni dove.  Non perché questa terra, di antica ed elevata civiltà, non abbia altro da offrire al visitatore.  Tutt’altro.  Si da però il caso che la Birmania – o meglio il Myanmar, nuovo nome adottato dal 1988 – sia il paese dove risulta maggiormente radicata e diffusa la religione buddhista di tradizione theravada, considerata la più pura e rigorosa, capace di permeare ogni attimo e ogni gesto della vita dei suoi abitanti, tanto che ogni birmano è stato o sarà monaco almeno per un breve periodo della propria esistenza. La sola antica capitale Bagan, su una superficie di 42 kmq, conta ben cinquemila edifici religiosi, duemila dei quali sono pagode; la Shwedagon pagoda nella capitale Yangon si presenta come uno dei luoghi di culto più monumentali e suggestivi di tutta l’Asia, così come la famosa Roccia d’Oro del monte Kyaikiyo, simbolo del paese e della sua fede radicata, da duemila anni oscilla sull’orlo di un precipizio al minimo tocco e ad ogni alito di vento, ma non cade mai.  Non deve quindi sorprendere il fatto di trovare pagode un po’ ovunque, tutte amorevolmente curate dai fedeli che aspirano ad acquisire in questo modo benemerenze per la vita futura – anche perché quella attuale non ha da offrire particolari gratificazioni – fino ad essere in parecchi casi interamente ricoperte da lamine d’oro. Una nazione piena di apparenti contraddizioni: una popolazioni tra le più povere in assoluto, ma con tonnellate di metallo prezioso sui tetti dei templi, un popolo cui il buddhismo ha insegnato la mitezza ma che tollera di essere governato da mezzo secolo da un’aggressiva e spietata giunta militare che obbliga i prigionieri politici ai lavori forzati, una terra di grandi tradizioni artistiche e culturali ferma e immobile in un presente senza tempo e senza prospettive, con un’opposizione democratica in perenne bilico tra la rivolta armata e la rassegnata resistenza passiva gandhiana. Centro vitale del paese è l’Irrawaddy, il grande fiume che l’attraversa da nord a sud in tutta la sua estensione e navigabile per 1.600 km; lungo le sue sponde è nata e si è sviluppata una cultura che ha radici antichissime e che sopravvive pressochè immutata ancora oggi rendendo – non si ancora per quanto – la Birmania una nazione fuori dal mondo, immersa in una dimensione che pare irreale tanto risulta lontana dai nostri ritmi e dai nostri parametri. Una nazione estremamente varia dal punto di vista ambientale, per metà ancora ricoperta da foreste, che spazia dalle regioni montuose del nord – ultime propaggini orientali dell’Himalaya, con cime superiori ai 5.000 metri – fino a canali, lagune e spiagge incontaminate affacciate sul golfo del Bengala e sul mare delle Andamane. Ma soprattutto varia dal punto di vista umano, raggruppando non meno di una settantina di gruppi etnici, ciascuno con la propria storia, le tradizioni ed i costumi, mantenuti più o meno intatti fino ad oggi. Come le gote dei bambini e delle ragazze ricoperte da un fango giallo per proteggerle dal sole e dagli insetti, e le donne di ogni età che fumano pipe e sigari smisurati.

Un itinerario alla scoperta delle principali eminenze turistiche di questa nazione estremamente varia, che spazia dalle vette himalayane sopra i 5.000 m coperte da impenetrabili foreste, alle grandi pianure alluvionali centrali, fino a 3.832 km di spiagge incontaminate sull’oceano Indiano, richiede non meno di una dozzina di giorni.  L’itinerario parte dall’attuale capitale Yangon, chiamata fino a ieri Rangon, elegante città cosmopolita portuale fluviale dominata dall’imponente mole della Shwedagon pagoda, lo stupa più grande e famoso del mondo che contiene otto capelli del Buddha, alto 91 metri e interamente ricoperto d’oro e pietre preziose, un monumento d’arte e di fede che da solo giustificherebbe un viaggio, e prosegue con Bago, nel 573 capitale del regno Mon, per visitare i suoi antichi templi buddisti, quindi in volo ad Helo, ai confini con la Thailandia, per scoprire il lago Inle, affascinante per le costruzioni erette su palafitte, i mercanti in barca e gli orti galleggianti coltivati sull’acqua, dove la vita del popolo Intha si svolge da sempre su canoe ad un remo spinte con un braccio e una gamba. In volo si raggiunge Mandalay, ultima capitale imperiale, simbolo della fede buddhista e  epicentro della cultura e dell’arte birmana, tanto che i suoi monasteri figurano tra i maggiori del paese;  visite ai centri conventuali e monastici di Amarapura e Sagaing, che raccolgono migliaia di giovani monaci, nonché a Mingun, per ammirare la pagoda contenente l’impronta di un piede del Buddha e una gigantesca campana del peso di 90 tonnellate.  In volo si raggiunge infine Bagan, prima capitale dell’impero birmano saccheggiata nel 1287 dagli impietosi mongoli di Kublai Khan (nipote del più famoso Gengis), per ammirare ciò che resta dei 4000 templi e stupa di una volta (circa la metà), considerati una delle aree archeologiche più ricche e suggestive dell’Indocina e del mondo, un luogo segnato dalla storia.

L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88, www.apatam.it), dal 1980 specializzato in percorsi culturali con accompagnamento qualificato in ogni continente in un ottimo rapporto qualità/prezzo, propone in Myanmar/Birmania un tour di 12 giorni dedicato alle più importanti eminenze storiche, artistiche e culturali.  Partenze individuali settimanali e partenze di gruppo con voli di linea da Milano e Roma il 30 ottobre 2016 e 12 febbraio 2017,  pernottamenti in hotel 4 stelle con pensione completa, guida locale di lingua italiana, quote da 2.990,00 euro in doppia tutto compreso.

Giulio Badini

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