Una delle espressioni culturali tradizionali più caratteristiche e rappresentative dell’Africa nord- occidentale è costituita sicuramente dal vudu (o vodou, che significa mistero o nascosto), la principale religione animista di Togo e Benin, due piccole nazioni parallele (grandi in tutto metà dell’Italia) lunghe e strette affacciate verticalmente sul golfo di Guinea, e importato attraverso gli schiavi africani anche in Brasile e Caraibi.  Essa contempla un dio creatore, distaccato e passivo dalle vicende terrene, nonché un pantheon di numerose divinità minori, buone o cattive, ognuna delle quali presiede ad un aspetto della vita, che sono in rapporto con gli uomini attraverso i loro antenati, oggetto quindi di grande venerazione. A loro i fedeli consacrano feticci, amuleti e portafortuna per ottenere clemenza e benevolenza. Per entrare in contatto con spiriti e antenati occorre un juju, un medium che nel corso di specifiche cerimonie a base di musiche assordanti, canti e danze frenetiche precedute da specifici sacrifici, riesce a cadere in trance per parlare con bocca divina. I juju sono anche curatori della medicina tradizionale, dove con pozioni e riti si cura il corpo e lo spirito del malato, in quanto la malattia costituisce l’indice della rottura nell’armonia che deve sempre esistere tra l’individuo e le forze della natura. Osteggiato da cristianesimo e islam, e ridicolizzato da letteratura e cinematografica per certi aspetti marginali di stregoneria e magia nera (vedi le bambole trafitte da aghi per colpire qualcuno), in realtà il vudu affonda le proprie radici in dottrine morali e sociali, possiede una complessa teologia e fa parte e presiede  la vita quotidiana per milioni di persone.  Ogni casa possiede altari e feticci dedicati agli dei ed agli antenati e ogni villaggio una casa dei feticci. Avversato dal precedente regime marxista, in Benin dal 1996 è stato riconosciuto come religione ufficiale a tutti gli effetti; il 10 gennaio a Ouidah, considerata la città santa del vudu, e in tutto il paese si celebrano grandi feste, mentre ogni centro possiede un macabro mercato dei feticci ove approvvigionarsi di prodotti specifici, dalle ali di pipistrello alle teste di cobra, per la farmacopea e i riti propiziatori.

tobe05vm-boicon-mercatoDue nazioni affacciate su quella che veniva un tempo chiamata la Costa degli Schiavi per il  principale “prodotto” commerciale di questa regione, che attirò in passato gli interessi dei trafficanti e dei colonialisti europei di varie nazionalità, i quali impiantarono sulla costa fortezze ed empori prima di farne delle dipendenze coloniali, rimaste poi tali fino alla seconda metà del secolo scorso. Si calcola che in tre secoli da qui partirono 20 milioni di individui, anche se soltanto la metà giunse nelle Americhe. Due nazioni accomunate in genere dal turismo in un unico tour per la loro complementarietà, ma ognuna con proprie peculiarità e con caratteristiche ben diverse, in un mosaico etnico piuttosto articolato (il solo Togo annovera oltre una quarantina di etnie), unite dal comune denominatore di presentare il volto di un’Africa ancora spontaneo e genuino, radicato nelle proprie vetuste usanze e agli antichi stili di vita, alla loro religiosità animista e alla medicina degli stregoni. Entrambi presentano una costa atlantica bassa e sabbiosa, seguita da pianure retrodunali ricche di laghi e lagune e ricoperta da foresta equatoriale a mangrovie, nonché da altopiani centrali sui 5-800 m con savana alberata e cespugliosa a baobab e acacie. Mentre le aride regioni settentrionali hanno seguito le sorti dei regni sudanesi e delle rotte commerciali transahariane, il centro-sud ha gravitato storicamente nell’orbita dei potenti regni guineiani, arricchiti dal commercio di oro, avorio e schiavi. Dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, hanno subito un asfittico regime marxista, intervallato da ripetuti colpi di stato militari; una parvenza di democrazia rappresenta un miraggio ancora da perseguire.

Un possibile itinerario parte da Lomè, capitale del Togo e un tempo una delle più eleganti città africane, la cui maggior attrattiva oggi è rappresentata dall’ingente mercato dei feticci, e si punta all’afoso nord verso le montagne dell’Atakora per visitare i villaggi dei Tamberna, che cacciano ancora con l’arco  e vivono in abitazioni fortificate, costruite con il fango a partire dal 1600 per difendersi dai cacciatori di schiavi del Dahomey, mentre i Somba vivono in case di fango isolate nei campi sotto forma di fortini in miniatura, con torrette e guglie difensive; cacciano con archi e frecce e fino a qualche decennio fa giravano completamente nudi. Puntando verso il sud del Benin, dopo i villaggi di etnia Taneka e gli ieratici pastori nomadi Peul si raggiunge Abomey, l’antica capitale del potente regno del Dahomey abbattuto dai Francesi a fine 1800; i suoi re erano governanti sanguinari dediti a sacrifici umani, guerre e tratta degli schiavi, che sedevano su un trono costruito con i teschi dei nemici uccisi. Il palazzo reale, costruito interamente in fango come tutta la città, del quale restano alcuni padiglioni con bei bassorilievi protetti dall’Unesco, poteva ospitare fino a 10 mila persone: normale per re che annoveravano fino a 200 mogli ed erano protetti da una folta guardia del corpo composta da feroci soldatesse. Si passa quindi a  Ganviè, un villaggio di 30 mila abitanti formato da capanne costruite su palafitte in mezzo ad un lago; in questa Venezia africana, che si visita ovviamente in barca, tutta la vita avviene sull’acqua: case, negozi, mercati, alberghi e ristoranti, compreso l’ufficio postale, si affacciano con notevole suggestione su un labirinto di canali; venne creata nel 1600 per sfuggire ai rastrellamenti da parte degli schiavisti. E poi Ouidah, antico porto schiavista e epicentro del vudu, dove visitare l’interessante museo storico e il tempio vudu dei pitoni in occasione del Festival religioso  annuale che si svolge il 10 gennaio:  Escursione in piroga sul fiume Mono per osservare gli antichi procedimenti di estrazione del sale, quindi rientro a Lomè dopo la visita ad guaritore vudu.
L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722. 32 94 88, www.apatam.it) , dal 1980 specializzato in turismo culturale con accompagnamento qualificato in ogni parte del mondo, propone in Togo e Benin un itinerario di 11 giorni dedicato alle scoperta delle principali valenze ambientali e etnografiche in occasione del Festival del vudu.
Unica partenza di gruppo  il 4 gennaio 2017 con voli di linea da Milano e Roma, pernottamenti con pensione completa in resort e hotel a 2 e 3 stelle, accompagnatore dall’Italia, quote da 3.450 euro in doppia tutto compreso.

Giulio Badini

CONDIVIDI: