La terra delle gravine ioniche: un lembo di Puglia tutto da scoprire tra mare e collina

Il territorio delle Gravine ioniche è una vasta area tra Puglia e Basilicata che si apre “ ventaglio” sul golfo di Taranto formando una sorta di “anfiteatro naturale” che offre suggestivi affacci panoramici sul litorale.

Le ultime propaggini delle Murge, la piattaforma calcarea che costituisce un altopiano all’interno della regione, degradano lentamente verso il mare che prende il nome dalla Ninfa Io. Questa fanciulla, trasformata in giovenca da Zeus, sarebbe approdata proprio su queste sponde per sfuggire alla vendetta della dea Hera.

Una lunga banda di sabbia finissima orla tutto il litorale giungendo fino ai grandi fiumi dell’antica Lucania, luoghi di elezione delle potenti colonie della Magna Grecia per la presenza di abbondante acqua dolce proveniente dalle numerose risorgive, di grandi fiumi navigabili e di insenature portuali naturali come quella di Taranto.

Un territorio molto vario dal punto di vista paesaggistico che in pochi chilometri offre oggi al visitatore lo spettacolo maestoso dei pascoli e delle foreste di quercia millenaria sulle alture murgiane, gli aspri scenari delle gravine e delle lame coperte di pino d’Aleppo e di lentisco ed incise da cave spesso antichissime di calcarenite, le aspre distese della garriga a ridosso della piana costiera popolata di ulivi secolari e di lussureggianti agrumeti. Quest’area che costituiva per la sua posizione un punto di passaggio obbligato non solo nella navigazione di cabotaggio dall’Età Neolitica (VII millennio a.C.) in poi, ha ricoperto questo ruolo strategico anche nella viabilità terrestre dei Romani che proprio di qui faranno passare la famosa Via Appia la Regina Viarum prima di raggiungere il porto di Taranto.

Un ruolo che sarà conservato per tutto il Medioevo quando antichi percorsi di età romana o addirittura preistorica ancora in uso, collegheranno i numerosissimi villaggi rupestri, abitati talvolta estremamente articolati e complessi completamente scavati nella roccia calcarea che si sviluppano un po’ ovunque in questa zona attorno a chiese o insediamenti monastici rupestri.
Quella della “civiltà rupestre” è una delle specificità storico-artistiche che caratterizzano maggiormente questo territorio per l’unicità delle forme insediative che mostrano la capacità dell’uomo di adattarsi alle difficili condizioni ambientali, alla mancanza d’acqua con l’uso di un ingegnoso sistema di canali di adduzione scavati e di cisterne a condensazione e di sfruttare le esigue risorse ambientali.
La facile accessibilità, la presenza di risorse naturali importanti (le cave di pietra calcarea, i boschi di quercia) spiegano il perché vari popoli si siano contesi questo territorio conferendogli una varietà notevole di testimonianze archeologiche e storico artistiche.

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Proprio questa varietà di paesaggi, di forme insediative, di testimonianze del passato costituiscono oggi una delle attrattive di questo angolo di Puglia. Ad un turista che voglia evitare le rotte più battute e più banali del turismo di massa vorremmo suggerire, in un ideale itinerario da est verso ovest, una sosta a Manduria, sito legato alla vicenda secolare del popolo dei Messapi , con le sue molteplici cinte murarie che evocano la tragica vicenda di Archidamo, Re di Sparta che qui sarebbe caduto durante una spedizione a supporto della colonia di Taranto nel 338 a.C.

Un passaggio davanti al maestoso Palazzo Imperiali e una visita alla Chiesa Matrice dalla facciata Rinascimentale non lontano da uno dei quartieri ebraici più suggestivi, sono d’obbligo prima di raggiungere il Museo del Primitivo.
Qui ha sede una delle cantine più antiche di Puglia legata alla storia del Primitivo, il vitigno autoctono più importante e prestigioso della regione, in cui il visitatore può ripercorrere nelle enormi cisterne scavate in roccia, oggi perfettamente musealizzate, la vita quotidiana degli antichi viticoltori.
Spostandoci verso ovest sul tracciato dell’antica Via Appia, tocchiamo Grottaglie, che nel suo stesso nome – Cryptae Aliae– evoca la conformazione dell’abitato rupestre medievale dove ancora oggi sono insediati i laboratori dei ceramisti che da secoli plasmano non solo le antiche ed armoniose forme ispirate alla ceramica greca, ma anche vasi di tradizione contadina in uno sforzo continuo di aggiornamento e di ricerca per soddisfare le esigenze del gusto contemporaneo.
Una sosta al Castello Episcopio, antica dimora estiva dei Vescovi di Taranto, è d’obbligo per ammirare la varietà di forme, di colori e di tecniche che questo materiale può assumere sotto le mani sapienti dei maestri grottagliesi: nel percorso espositivo dalle ceramiche greche ed indigene di età arcaica fino alle ceramiche rustiche in uso prima della scoperta della plastica nell’immediato dopoguerra.
Risalendo verso le Murge, attraversando le campagne, tra Grottaglie e Crispiano, punteggiate dalle innumerevole masserie- il territorio denominato delle “Cento Masserie” oggi destinate ad ospitare importanti strutture ricettive, aziende agricole o masserie didattiche, si giunge a Martina Franca, città d’arte e di cultura.
Entrati nel centro storico racchiuso dalle mura aragonesi di cui si conservano le torri cilindriche che ne scandiscono il percorso, il visitatore è accolto dalla possente mole del palazzo costruito dal Duchi Caracciolo-De Sangro di Martina che lo hanno impiantato sul sito del Castello medievale dei Del Balzo Orsini.
Ma delle architetture di questo periodo , fatta eccezione di piccole cappelle come la chiesetta di S. Nicola in Montedoro, completamente costruita a secco con le caratteristiche “chianche”, quasi nulla è rimasto, in seguito alla radicale ricostruzione dell’abitato realizzata nel corso del XVIII sec. I Caracciolo e la committenza ecclesiastica diedero, infatti, all’abitato voluto dai principi angioini di Taranto l’aspetto tardobarocco che tutti noi conosciamo.
Il palazzo ducale è appunto un testimone d’ eccezione di questo periodo con la sua lunghissima balconata in ferro battuto dalla tipica forma “a petto d’oca” e l’infilata di sale affrescate al piano nobile che illustrano miti classici, racconti biblici ed in delicate atmosfere arcadiche i fasti della corte ducale martinese.SAM_1043

Percorrendo il corso si giunge all’altro monumento simbolo di questo periodo, la Basilica di S. Martino, anche questa frutto di una radicale ricostruzione in stile rococò che non ha risparmiato quasi nulla dell’edificio trecentesco, a parte la torre campanaria ed alcune sculture tra cui quella di S. Martino sull’altare Maggiore.
La svettante facciata è un capolavoro degli scalpellini locali, mentre l’interno offre all’ammirazione del visitatore alcuni capolavori della scultura rinascimentale e barocca, come il presepe di Stefano da Putignano ed il Cristo alla Colonna attribuito a Vespasiano Genuino del transetto sinistro.
Le architetture rococò di Martina Franca sono lo scenario perfetto del Festival dedicato alla musica operistica che nel mese di Luglio richiama appassionati e semplici visitatori da ogni dove attratti da un cartellone elaborato con un’attenzione particolare al repertorio operistico meno eseguito ed ai compositori pugliesi.

Attraversati i fitti boschi secolari di quercia e di leccio, nascondiglio ideale dei briganti del sergente Romano che da queste parti imperversavano, scendiamo verso Mottola seguendo le ultime balze murgiane.
Dall’alto dei suoi 387 m. sul livello del mare, la “vedetta dello Ionio” come era comunemente denominata, domina tutto l’arco ionico fino alla prospiciente Calabria. Una funzione strategica, quella di della collina di Mottola ben compresa dai Greci di Taranto, che qui vi insediarono una fortezza a controllo del loro territorio, come più tardi dai Normanni.

Questi ultimi dopo il 1071, infatti, fortificano la sommità del colle dotandolo di un castello, purtroppo distrutto e di una cattedrale di stile romanico. Precedentemente al periodo normanno dominava in questa zona l’insediamento sparso in nuclei di abitati rupestri attestati sugli spalti delle gravine e delle lame.
La chiesa rupestre di S. Nicola, a giusto titolo definita “Cappella Sistina della civiltà rupestre” è una testimonianza d’eccezione di questa fase con affreschi di notevole fattura che ricoprono un vasto arco cronologico compreso almeno tra il X ed il XIV sec. d. C. Testimonianze di abitati rupestri estremamente organizzati e strutturati si possono cogliere visitando il villaggio di Casalrotto con la sua chiesa di S. Angelo (unico esempio di chiesa rupestre articolata su due livelli) e quello di Petruscio. Prima di inoltrarci in profondità nel territorio delle gravine non si può mancare una puntata a Taranto, antica colonia spartana fondata nel 706 a. C., nella terra degli Iapigi.
Il Museo archeologico Nazionale, nel suo rinnovato allestimento (attualmente limitato al primo piano) offre al visitatore un panorama del livello economico e artistico di una delle principali metropoli del Mediterraneo.
La creatività e la perizia tecnica dei suoi orafi attestata dai magnifici gioielli costituiscono solo una delle molteplici attività artigianali della città greca per la quale il porto e il mare costituivano la principale fonte di ricchezza. La pesca, la filatura del bisso (tarantinidie), l’allevamento dei molluschi (cozze, ostriche) erano attività economiche allora fiorenti fino all’immediato dopoguerra.
Il Castello Aragonese, che domina il canale navigabile “tagliato” nell’Ottocento e collegato alla città sviluppatasi in età postunitaria sulle rovine della colonia greca e dell’urbs romana, è diventato negli ultimi anni il “contenitore culturale” di maggiore richiamo assieme al Museo. Gli scavi archeologici ed i restauri qui condotti negli ultimi anni hanno portato alla luce una molteplicità straordinaria di testimonianze che portano il visitatore a scoprire gli angoli più segreti della fortezza ricostruita completamente dopo il 1480.
Nel cuore dell’Isola, la città vecchia dove era l’acropoli della colonia greca con lo splendido Eracle colossale di Lisippo, si staglia il Duomo di S. Cataldo, piccola chiesa di età bizantina divenuta, ad opera dei Normanni una grandiosa cattedrale romanica. La chiesa racchiude un autentico gioiello dell’arte barocca, la cappella di S. Cataldo, realizzata nell’arco di due secoli, tra il XVII ed il XVIII sec. con un rivestimento in marmi policromi che fa da sfondo alle magnifiche sculture in marmo di Carrara, di Giuseppe Sammartino.

In uscita dal capoluogo ionico puntiamo finalmente verso ovest dove le gravine della Madonna della Scala a Massafra, di Petruscio, di Palagianello, Castellaneta, di Laterza e Ginosa si susseguono offrendoci scenari di selvaggia bellezza.

Su questa estrema porzione occidentale del territorio pugliese, meritano una sosta il villaggio rupestre di Palagianello dominato dal Santuario della Madonna delle Grazie, il centro storico di Castellaneta, città natale di Rodolfo Valentino, con le sue notevole chiese tra cui spicca la superba Cattedrale e palazzi nobiliari barocche il centro storico di Laterza col suo Palazzo Baronale edificato dai Perez Navarrete.
Ai signori di origine spagnola del luogo si deve la trasformazione di un’originaria chiesa rupestre in un luogo di misteriosi riti iniziatici, luogo ricco di fascino e di mistero noto come Cantina Spagnola.
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La città delle celebri maioliche che abbelliscono le principali chiese di Matera e delle “carni al fornello” è il punto ideale di arrivo di questo itinerario che ha attraversato questo lembo di Puglia alla scoperta del suo patrimonio archeologico, artistico ed enogastronomico.
L’invito è, dunque, per chi non lo avesse già fatto è quello di cogliere il nostro suggerimento e di visitare in prima persona questo territorio per scoprirne la varietà, l’ospitalità e la tipicità.

 

Luigi Traverso

 

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