L’Etiopia, vasta nazione del Corno d’Africa grande quattro volte l’Italia,  costituisce una delle mete più interessanti del continente per l’estrema varietà geografica e climatica, che spazia dai deserti vulcanici e salini della Dancalia – una delle regioni più calde e inospitali del pianeta – alle savane tropicali, dagli altopiani dell’acrocoro centrale a una altezza media di 2.000m e clima temperato fino a 20 vette superiori ai 4.000m con clima alpino. Decisamente varia anche la geografia umana, anzi un vero caleidoscopio, con circa una ottantina di etnie diverse parlanti altrettante lingue e 200 dialetti, a testimonianza della diversa provenienza, come pure composita risulta l’appartenenza religiosa, con una prevalenza storica della chiesa copta ortodossa ma anche significative minoranze musulmane, animiste e cristiane. Il massimo della varietà etnica si raggiunge nell’estremo sud-ovest, tra i grandi laghi dell’enorme spaccatura geologica della Rift Valley e i confini paludosi con il sud Sudan e quelli desertici del nord Kenya, una vasta area montuosa e di sottostanti aride savane gravitante sul bacino del fiume Omo e dei suoi affluenti, una delle zone più selvagge e isolate del paese ancora oggi di difficile accesso per mancanza di strade, definita l’ultima grande wilderness africana. Non a caso l’Omo, che nasce sull’acrocoro centrale, ha rappresentato uno degli ultimi  interrogativi geografici del continente, in quanto fino alla fine del 1800 non se ne conosceva il tratto inferiore; fu Vittorio Bottego, a prezzo della vita, e altri esploratori italiani a scoprirne la confluenza nel lago keniota Turkana come suo unico immissario. E dal punto di vista ambientale e umano le cose da allora non sono cambiate un gran che in questo tratto d’Abissinia. Il totale e millenario isolamento di queste terre remote ha permesso a una popolazione di alcune centinaia di migliaia di individui appartenente a 45 diverse etnie di origine cuscita, nilotica, omotica e semitica con provenienze, storie, lingue e costumi differenti di sopravvivere con una misera economia di sussistenza in una fase di protostoria lontano e fuori dalle vicende del mondo, mantenendo intatte fino ad oggi tradizioni e stili di vita ancestrali. Nella bassa valle dell’Omo si trovano due degli otto parchi nazionali etiopi, più nominali che reali anche se quello omonimo è riconosciuto dall’Unesco per la sua importanza antropologica,  per proteggere le tipiche savane e le foreste di acacie con la loro fauna, ma nessuno si sognerebbe di arrivare fin qua per cercare leoni, elefanti, bufali, leopardi, giraffe, zebre e quant’altro, in numero scarso e difficili da avvistare rispetto altrove. Qui si viene per ammirare, finchéI sarà possibile, un’umanità diversa e unica, capace di farci riflettere su una fase di evoluzione percorsa in passato anche da noi.

Le diverse etnie omotiche, pur con differenti origini e spesso tra di loro in perenne conflitto per il possesso di elementi vitali come acqua, pascoli e armenti, presentano alcune caratteristiche comuni dovute a reciproche influenze, come i corpi statuari, la religione animista, le scarificazioni corporali, la nudità degli uomini, la passione per la decorazione del fisico con pitture naturali e per le elaborate acconciature maschili. Tra le popolazioni più interessanti troviamo i Surma, famosi per la deformazione da parte delle donne del labbro inferiore, dove inseriscono a scopo estetico un consistente piattello trapezoidale di ceramica, a volte anche nel lobo delle orecchie. Secondo gli antropologi questa deformazione serviva in passato a preservare le donne dalla cattura da parte degli schiavisti. Ma la fama li ha resi scorbutici ed esosi, tanto che ogni comparsa o foto deve essere preceduta da mance consistenti. Meglio allora ripiegare su altre popolazioni finitime come i Mursi, simili ai Surma ma con piattello labiale muliebre tondo, pastori nomadi viventi all’interno del parco nazionale del Mago, molto abili nella decorazione di corpi e visi con pigmenti naturali, oppure gli Hamer, agricoltori e allevatori seminomadi pacifici e solidali, le cui belle donne portano capelli a baschetto con treccioline ramate impastate di burro e ocra, le nubili con una placca di alluminio, le sposate con grosse collane e bracciali di ferro, mentre gli uomini si mettono sulla testa grumi d’argilla con penne di struzzo, tanto da dover dormire con appositi poggiatesta. Sono famosi per la cerimonia del salto dei tori, prova di abilità dove i giovani nudi debbono camminare per tre volte sulla schiena di 15-30 tori appaiati. I Konso sono abili agricoltori che vivono in villaggi fortificati di pietra dalla peculiare architettura; producono ottimi tessuti di cotone grezzo e belle statue lignee, dedicate ad antenati e valorosi guerrieri. I Karo sono una minuscola popolazione di agricoltori imparentati con gli Hamer, maestri nella pittura del corpo con argille colorate e gesso, nelle scarificazioni rituali e nella produzione di oggetti decorativi da materiali riciclati. Erbore e Tsemay sono poveri allevatori, le cui donne ostentano acconciature a treccioline tinte di rosso, indossano gonne di cotone o di pelli con code penzolanti e portano collane e bracciali di perle colorate e di alluminio. I Dorze infine sono abili agricoltori di montagna in un ambiente di esuberante vegetazione, produttori di pregiati tessuti di cotone, che abitano in enormi capanne a forma di obice alte 10-12 metri.

L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in turismo culturale di scoperta a valenza etnografica e ambientale, propone nella valle etiope dell’Omo un itinerario di 15 giorni per entrare in contatto con le popolazioni citate, i loro habitat e i suggestivi e colorati mercati. Unica partenza di gruppo con voli di linea da Milano e Roma il 16 febbraio 2013, pernottamenti in hotel, bungalow e una notte in tenda con pensione completa, esperto accompagnatore dall’Italia, quote da 2.600 euro in doppia. In Etiopia Viaggi Levi organizza diversi altri itinerari di varia durata.

 

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